La produzione della pergamena a Tivoli, in epoca classica, è attestata dai ruderi di un impianto per la calcinatura delle pelli: calcinarium, rinvenuto in zona Colle Nocello, all’interno di una villa romana.
Epoca barbarica
Tale attività economica non si arrestò durante il difficile periodo delle invasioni barbariche.
È noto che “solo dopo che fu pagata la taglia imposta ricavando l’oro e l’argento dalla fusione delle statue degli dei, Alarico smise l’assedio di Tivoli, andandosene carico di stoffe e pelli colorate di porpore”. Da ciò si deduce che la lavorazione delle pelli doveva essere di notevole pregio, giacché divennero oggetto del bottino di Alarico.
1200
Le fonti di cui disponiamo consistono nelle pergamene degli archivi ecclesiastici, dalle quali traspaiono le segnalazioni di magistri, tra cui pellipari e calçulari: i primi sono menzionati negli anni 1207-1258, mentre i secondi, sono citati, già dal X secolo, in innumerevoli documenti.
È piuttosto ragionevole pensare che non solo si producesse pergamena, ma che se ne producesse in discreta quantità, nei secoli dell’alto e basso medioevo, quando la membrana animale era divenuta il supporto più usato per la scrittura, soppiantando la carta di papiro.
Nel XIII secolo, furono trascritti su pergamena I Papiri delle Chiese di Tivoli, ossia i più antichi documenti del Regesto Tiburtino.
1305
Per effettuare una valutazione del grado di sviluppo dei commerci e dell’artigianato, dobbiamo attendere gli statuti del 1305.
Buona parte dei vari artfices (maestri) facevano capo alla propria Ars (corporazione), essendo iscritti nella rispettiva matricula (sezione) ed eleggendo ogni sei mesi due capita artis (capi della corporazione).
Il relativo sviluppo raggiunto, ai primi del ’300, dalla produzione e dagli scambi, è testimoniato dal tipo di regime politico sancito dagli statuti del 1305.
Infatti, a differenza di quanto avviene nelle città del Lazio meridionale, dove alle Arti non era riconosciuta alcuna funzione istituzionale all’interno del comune, a Tivoli i capita artium facevano parte di diritto del principale consiglio cittadino e del più ristretto consilium speciale.
Si trattava, quindi, di un tipo di regime che si colloca in una posizione molto vicina alle città principali d’Italia, dove l’importanza del commercio e dell’artigianato determinò il prevalere delle organizzazioni di mestiere, all’interno dell’apparato comunale.
Situata lungo la via dell’Abruzzo e del Regno, Tivoli era un importante nodo stradale; la vicinanza a Roma rese agevoli i commerci e l’assenza di altre città nel raggio di decine di chilometri le consentì di ricoprire, già nel XIII-XIV secolo, quella funzione di capitale economica come chiaramente documentato nel secolo successivo.
Fine XIV secolo
L’importanza di Tivoli nella vita commerciale trovò una sorta di istituzionalizzazione nella creazione della fiera.
Nell’estate del 1393 il comune stabilì che avesse luogo una Fiera, durante gli otto giorni in cui i visitatori di Santa Maria Maggiore (presso l’attuale Villa d’Este) potevano lucrare l’indulgenza, che Bonifacio IX aveva concesso ai Francescani. Per tale occasione, si ottenne, dal Comune di Roma, l’approvazione della nuova fiera e l’immunità per tutti i negotiatores (mercanti) che desiderassero recarsi a Tivoli.
La fiera aveva luogo tra l’otto e il quindici di settembre, nella contrada di Santa Croce.
La Feria Tyburis rimase in vita per molti secoli e dai registri locali, notarili e catastali si evince che tra i vari mercanti vi fossero anche i mercanti del cuoio e della pergamena.
1467
Nel catasto della contrada di San Paolo del 1467, oltre ai quattordici immatricolati nelle artes dei lavoratori del ferro, della carta, dei panni e delle spezie, figurano altri venti iscritti a corporazioni artigianali o del commercio minuto. Di tutte le attività artigianali per così dire “minori”, i settori che sembrano avere il maggior numero di addetti sono quelli della lavorazione del cuoio e dell’edilizia.
Con dieci iscritti, pari a più del 6% dei capi famiglia registrati, l’ars calçulariae è il ramo con più addetti.
I calçularii sono attestati ad ogni livello sociale, ossia tanto fra il meno abbiente, quanto al vertice della scala delle fortune: a Domenico di Paolo Marsi, grande proprietario fondiario, nonché terzo contribuente della contrada, è registrata una somma di 80 lire, investita in arte calçulariae.
1610
Antonio del Re annota la presenza di «tre botteghe di concie di corami, suole e carta pergamena» .
Quindi, a Tivoli si produceva pergamena ancora nel ’500, quando il suo uso nel mondo del libro era soprattutto legato alla rilegatoria.
1787-1790
Nelle Lettere de’ Superiori abbiamo notizie sui pellami, dunque è probabile che vi fosse ancora una discreta produzione di pergamena nella città di Tivoli, ormai famosa per la produzione di carta.